Tuesday, September 26, 2006

ZENO

Oggi smetto di fumare. Oggi smetto davvero.
In effetti, mi rendo conto di sembrare la caricatura di me stessa. Ogni tanto prendo una boccata. Me ne accendo una e faccio una boccata. Ieri sera l’ho fumata quasi tutta. E’ strano. Non mi ci vedo senza sigarette. Mi dico che, se quello di cui ho bisogno è una pausa dal fumo, allora me la devo prendere. L’obiettivo è quello di smettere definitivamente.
Che differenza c’è tra le sigarette e il resto della mia vita? Nessuna. Sono dipendente dal mio passato come una tabagista accanita. Posso mettere tutti i cerotti che voglio ma non smetterò all’improvviso di aver voglia di fare un tiro.
Eppure ce la devo fare. Mi piego su me stessa e mi contraggo nello sforzo di non fumare. Poi arriva qualcuno che mi fuma vicino e mi assale la voglia di cercare nella borsa quel pacchetto bianco e uno di miei milioni di accendini. Esco sapendo perfettamente che incontrerò qualcuno che mi fumerà vicino. Esco sapendo perfettamente che il mio passato è sparso dovunque io cammini. Faccio queste cose coscientemente. Sono una dipendente.
“Salve, mi chiamo Elena. Da ventisei anni sono dipendente dal mio passato. Sono così dipendente che dipendevo anche quando non avevo un passato”.
Tutti: “Ciao Elena!”.
Mi sono chiusa nella mia stanzetta per disintossicarmi.
Oggi sono Zeno.

SUMMER OF '06

All’improvviso l’estate non sembra neanche estate. Dovrai studiare, quest’estate mi hanno detto. Molto. Così questa mattina trasformo un viaggio verso casa, la mia vera casa, in uno di quei viaggi che ho fatto tutte le estati negli anni passati, quando ancora svegliarsi alle sei del mattino e sentire l’aria fresca dopo un temporale aumentava la sensazione di pizzicore al naso e l’eccitazione della partenza. Il temporale è alle spalle, pensavo mentre partivo durante quelle estati che mi avrebbero portato lontano dalla mia vera casa, dalla mia città verso altre case, altre vie e altre città. La terza liceo è alle spalle. La quarta è alle spalle. La maturità. Poi velocemente anche l’università. E adesso che sono grande, penso oggi, d’estate rimango in città. “I grandi” durante l’estate per me erano quelli che restavano in città perché avevano un lavoro. La differenza con “gli anziani” era che “i grandi” non venivano parcheggiati tre mesi in un centro commerciale a prendere il fresco. La differenza con “i giovani” era il numero di giorni passati al mare (perché sono troppo pochi “i giovani” che vanno in montagna).
Qualche anno fa non avrebbe fatto differenza il luogo, sarebbe bastata l’estate. Invece gli anni passano anche per me, che continuo a vedermi sempre uguale, sempre gli occhiali, sempre bassina, sempre piacevolmente nevrotica, sempre capricciosa. Però adesso a volte metto le lenti a contatto, i tacchi, faccio un profondo respiro e cerco compromessi. E passo le estati in città.
Mi ricordo com’era quando ci si trovava, noi amici, tutti intorno alle solite birre, pronti a lasciarci la piccola città alle spalle. Quest’anno Grecia. Quest’anno Praga. Quest’anno Belgio e Inghilterra. E via. Poi alcuni di noi in Belgio e in Inghilterra ci si sono stabiliti. E anche loro passano l’estate nelle loro nuove città. Come me. Anche loro, credo, prendono il metrò e fingono di essere in viaggio verso destinazioni lontane. La città come una jungla da scoprire. La città folta, intricata ma senza nessun animale selvatico. Sono tutti in vacanza. Siamo rimasti solo noi esploratori, che corriamo avanti indietro con le borse della spesa e trasciniamo casse d’acqua verso il frigorifero. L’unica marea che vediamo è quella degli impegni che non riusciamo ad organizzare e l’unico deserto nel quale ci smarriamo è quello del nostro conto in banca.
Eh già. Ho un conto in banca. Vuoto. Ho finito l’università. E devo studiare lo stesso tutta l’estate. Faccio almeno un viaggio al mese. Sempre la stessa tratta. Oggi faccio finta che sia davvero estate, l’estate di sempre. E piove a dirotto.

Saturday, September 02, 2006

TEMPORALI ESTIVI

Chi non ha mai ammesso che i temporali estivi arrivano all’improvviso, ma solo dopo che li hai annusati, finge di essere ingenuo. L’aria diventa fredda all’improvviso e si sente che sta cambiando. Ha un odore diverso. Si sente. E quando l’hai sentito alzi lo sguardo al cielo e vedi che ha cambiato colore. Ti accorgi che le foglie diventano argentate e, come dice mia nonna, una foglia a rovescio porta la pioggia. Sù! Non c’è nessun bisogno di fingere di essere ingenui. Sapevamo che sarebbe venuto a piovere. La vera domanda è che fare mentre piove.
Possiamo mettere un maglione e pensare che l’estate sta davvero finendo. Possiamo anche lamentarci del fatto che non ne abbiamo vissuto neppure un giorno, quest’anno. Eppure, chissà come, non siamo riusciti a combinare niente lo stesso. Possiamo fare una partita a carte. Ma che succede se non c’è nessun compagno col quale fare i giochi che conosciamo? Ecco che si fa: ci si inventa le regole di un solitario, perché le regole di un solitario non le ha mai fissate nessuno. Ci sono tanti modi di giocare il solitario, ognuno ha il suo. Il problema comune a tutti i solitari è che raramente riescono, quali che siano le nostre regole.
Che possiamo fare ancora quando piove per non accorgerci che il nostro solitario proprio non viene? Possiamo decidere di stare passivi davanti alla televisione. Possiamo uscire a fare shopping. Possiamo navigare su Internet. Possiamo tentare di lavorare quando sappiamo che tutti i nostri amici si stanno riposando o riprendendo da feste durate fino all’alba. Possiamo concentrarci su di noi. Che bello il nuovo millennio: due milioni di possibilità per ogni secondo. Scegliere. Scegliere. Scegliere. Possiamo scegliere. E scegliamo di non fare niente. Decidiamo di stare seduti sotto la pioggia, coi vestiti che si inzuppano. Tanto poi possiamo scegliere di cambiarli. Sapevamo che sarebbe venuto a piovere e, nella mancanza di qualcosa da fare che non ci faccia pensare al fatto che siamo lì a non fare niente, stiamo seduti sotto la pioggia. Lo sapevamo che sarebbe venuto a piovere. Chissà quanto dovrà passare prima che ci decidiamo ad alzarci e ad andarci a riparare da qualche altra parte.