Wednesday, January 26, 2005

IL CIRCO

Pensavo che, dato che da qui a Pechino passano otto ore in avanti, se potessi correre avanti e indietro da lì a qui senza perdere troppo tempo sarebbe sempre adesso e non cambierebbe mai niente. Certo, se potessi non metterei in pratica proprio adesso adesso questo trucchetto. Sceglierei un adesso più felice di sicuro, un adesso meno solitario, meno tranquillo e meno nuvoloso. Correrei da Pechino a casa e avrei sempre le guance rosse e gli occhi brillanti, i capelli lunghi e neri, neanche l'ombra di un'occhiaia. Il tempo fermo mi stamperebbe sulla faccia un gran sorriso. Sceglierei un giorno d'estate. Invece da qui a Pechino ci vogliono quasi 12 ore di aereo, considerato che bisogna cambiare a Francoforte, volare su mezzo mondo e scendere infondo a destra sul planisfero. Manca il requisito fondamentale dell'immediatezza per mettere in pratica il mio trucchetto. Così non posso scegliere nessun giorno, sono i giorni che scelgono me. Non c'è stato il sole, oggi, non ho più i capelli lunghi e neri ma in compenso ho le occhiaie e le guance scavate. Non credo di aver sorriso, oggi.

Senza questo trucchetto mi rendo conto che non si rimane mai fermi nello stesso punto né tanto meno nello stesso momento: siamo zingari di noi stessi, nomadi senza sosta a volte senza un tendone da circo da piantare, mentre tante altre piantiamo un tendone grande, colorato, pieno di buffoni e buffonate, quasi grottesco. Poi nessuno viene a vedere lo spettacolo o magari entra qualcuno che dopo poco tira un pomodoro e un uovo marcio e se ne va. Che fatica cercare le risorse per comprare un tendone ed allestire lo spettacolo e poi accorgersi che nessuno verrà a vederlo o che i pochi che verranno ne rimarranno delusi. Lavoriamo sodo e duro per mettere su un bello spettacolo che invece non piace quasi mai a nessuno. Ma forse sbagliamo a pensare che serva uno spettacolo per attirare l'attenzione. Pensiamo che servano le cose grandi e piene di lustrini, piene di musica assordante e, possibilmente muniti di fanfara al seguito, andiamo in giro ad invitare la gente, estranei, a vedere il nostro sudatissimo lavoro. Da qualche parte ho letto che i gesti plateali non hanno mai salvato i popoli. Non sembra che abbiano salvato neppure me: il tendone del mio spettacolo, messo su a fatica e da sola, è vuoto.

Sui seggiolini dietro il margine della pista rimangono le tracce di quelli che sono passati di lì: pop corn sparsi e bicchieri rovesciati; mozziconi di sigaretta; bottiglie di birra semi vuote o vuote e rotte; tappi. La rete di emergenza ha un buco al centro enorme, per ricordare quando la star dello show, durante un triplo salto mortale-avvitato-carpiato-mescolato-rovesciato a metri e metri di altezza ha mancato di afferrare il trapezio ed è rovinosamente precipitata sfracellandosi al suolo e bucando perfino la rete di sicurezza, tanto era sparata. La segatura sulla pista è cosparsa di gocce rosse un po' rapprese, il suo sangue, di gocce azzurre un po' rapprese, le sue lacrime, e di cacca di cavallo un po' rappresa, il giusto contorno. Il cavallo ha rassegnato le dimissioni insieme all'orso e all'elefante. Hanno messo su una cooperativa di allevamento esseri umani per esibizioni su commissione, tipo per i compleanni o per gli anniversari e mi hanno chiesto se voglio lavorare per loro. Ci sto pensando.

Mi ricordo di una volta in cui sono andata a vedere uno spettacolo di gran classe in un tendone di pietra, dove si fanno solo spettacoli di alto livello e le star non si sfracellano sulla pista perché sono talmente discrete da non tentare neanche un triplo salto mortale avvitato-carpiato-mescolato-rovesciato: recitano una parte e sanno di essere molto brave. Non c'erano né mozziconi né bottiglie sul pavimento, non si poteva neppure mangiare, in quel posto. Non pensavo ci fossero circhi così. Tutto era talmente delicato, in quel posto, che hanno deciso perfino di non chiamarlo circo ma teatro. Al teatro io mi sentivo piccola, protetta. La musica non era affatto assordante ma delicata. Nessun cavallo ha dato disdetta e nessun orso ha fatto sciopero. Mi sentivo sicura anche se stavo in alto in alto perché non c'era nessun trapezio da prendere solo e solamente all'ultimo secondo, pena la delusione del pubblico. Stavo lì a guardare uno spettacolo messo in scena anche per me, che per una volta ho fatto parte di un pubblico, e che non aveva niente a che fare con la vita delle persone. Non era lo spettacolo della mia vita né della vita di nessun altro: era una finzione e basta e per vederla si pagava. Poi, solo dopo il termine dello spettacolo, iniziava la vita vera fuori dal teatro. Quando sono tornata al mio circo, allora, ho pensato che, dato che era vuoto, sarebbe stato meglio chiudere baracca e andare a vedere il teatro più spesso. Ho pensato che sarebbe stato meglio pagare un biglietto per rilassarsi un po' vedendo uno spettacolo e non cercare di fare i soldi allestendo uno spettacolo della propria vita.

Non si vola avanti e indietro da Pechino per rimanere sempre fermi nello stesso momento di felicità, ma a volte basterebbe cambiare punto di vista per rimanere felici più a lungo di quando ci affannavamo per rincorrere un briciolo di gioia. Non è facile cambiare punto di vista, lo sanno tutti, ma si può sempre provare. L'alternativa è volare avanti e indietro da Pechino senza perdere un secondo. Se riuscite, ditemi come si fa.

Saturday, January 15, 2005

LA MIA FAVOLA?

...Venite con me, nel mio mondo fatato per sognar... per sognar... il disco fa “click” e, vedrete, fra un po' si spegnerà... si spegnerà...

Non riesco a ricordare le parole con cui la voce del disco annunciava che presto sarebbe ricominciata un'altra favola. Ricordo perfettamente che provavo un profondo dispiacere nell'immaginare il “click” del trentatré giri che si fermava. La favola finiva.

Volevo scrivere la favola di un grande amore orientale del quale non rimane che un paio di orecchini finiti per caso su un banchetto di antiquariato in una fiera natalizia e che, guarda caso, capitavano proprio nelle mie mani. Volevo raccontare di un amore immenso capace di risorgere ad ogni alba con rinnovata intensità. Lei avrebbe avuto lunghi capelli neri ed occhi intensi, lui sarebbe stato alto e forte, con un sorriso caldo e rassicurante. Lei gli avrebbe giurato amore eterno e lui sarebbe partito per salvare il proprio popolo dall'invasore. Lei sarebbe sorta nel suo amore per l'ultima volta come un grande sole in un'alba fredda mentre lui sarebbe morto vincendo la guerra. Lei sarebbe caduta delicata come un petalo tra altri fiori... e nel tempo sarebbero rimasti solo due orecchini con sopra una fenice. Non era certamente una storia originale ma, a parte questo, rimane il fatto che non sono riuscita a scriverla. Non credo di saper raccontare amori. Penso che il mio trentatré giri si inceppi troppo spesso e ciò che si sente è un'intermittente serie di singhiozzi d'amore che fanno più ridere che tenerezza.

Ci sono storie che non si possono scrivere, originali o meno che siano. Non ci si inventa un amore che non esiste e, di conseguenza, non lo si può narrare. Mi domando se gli amori epici esistano ancora... A dire il vero mi domando se siano mai esistiti o se fossero le proiezioni o i desideri di uomini e donne dalla penna o dalla tastiera svelta che non trovavano nella vita una simile gioia. Romeo ha mai pensato che l'amica di Giulietta fosse più carina? Giulietta ha mai pensato di scappare a cavallo e prendere una barca per le Canarie e lasciare la nebbia di Verona? Orlando era innamorato o solo preda di una ineluttabile carica ormonale? Dante era innamorato di Beatrice o voleva semplicemente raccontare le perversioni del suo tempo con un'ottima scusa? Katie era attratta dal rude Heatcliff di montagna perché lui tagliava la legna a petto nudo, sudava ed era abbronzato nonostante non ci fosse mai un briciolo di sole a Cime Tempetose? In effetti poi lei sposava il ricco e gracile vicino di casa... Ma Heatcliff fu sempre davvero nella sua mente? Dove sta l'amore invincibile, che sorpassa il tempo e lo spazio, senza confini né condizionamenti... Dove sta il principe azzurro che con un bacio ti causa il vomito-di-mela e ti salva la vita? Dov'è il prode cacciatore che scuoia il lupo e ti fa uscire dal suo ventre promettendo che, non appena fossi stata più grande, sarebbe ripassato a “vedere come va”? Dove sono gli ingannevoli piaceri di quella donna capace di sedurre con dolci e profumo e poi, tolto scialle, parrucca, maschera vellutante, reggicalze e reggi-tutto diventa davvero una strega?

Dove sono il coraggio e l'incoscienza di sfidare la sorte e la società per un amore che lascia senza fiato? Perché non ci si abbandona agli amori che lasciano senza fiato? Perché quasi sempre il fiato va via solo ad uno dei due mentre l'altro guarda altrove e il primo finisce per soffocare? Nel mio cervello si susseguono buffe immagini di amanti cianotici che crollano a terra mentre l'altro guarda il cielo, le stelle, il mondo... Come mai siamo sempre più spesso gli unici tra due a sognare un amore? Come mai il nostro sogno non coincide mai con quello di nessuno? Come mai la vita si insinua nelle fessure del cuore e le chiude come se fosse mastice senza lasciare neppure uno spazio per far sbocciare un fiore? Non tutte le fessure del cuore sono ferite che devono essere ricoperte in fretta e furia... Alcune sono proprio il segno che il cuore, anche se con dolore, si apre e respira... Non c'è bisogno di mastice in quei casi. Ma spiegaglielo, a questa benedetta vita.

Forse le favole davvero non esistono. Forse sono favole solo perché non esistono e chi tenta di viverle ugualmente sbatte il naso sul dorso del libro più duro e pesante che sia mai stato messo in commercio: quello che racconta la storia della nostra vita. Rimane da capire come mai, nonostante tutta questa consapevolezza, uno vorrebbe proprio viverla, la sua favola. Forse siamo stupidi, forse non siamo mai cresciuti. Forse se non ci avessero mai raccontato le favole prima di addormentarci queste non sarebbero mai state ciò che accompagna dritti per la strada “del sogno”. Se ci avessero raccontato le favole, che so, prima di bruciare la verruchina che hai preso a nuoto, non sarebbero state così romantiche. Se ci avessero raccontato che il grande amore esiste davvero e sopravvive sempre mentre tiravano il collo all'anatra che avevamo vinto alla fiera, per poi servirla come succulento pranzo di pasqua, non credo avremmo vissuto a lungo in quest'illusione. Avremmo pensato, anche imprecando, che erano tutte cazzate. Forse si è trattato tutto di un grande complotto per ampliare l'industria di tutto ciò che ci consola quando ci accorgiamo che davvero questo amore non va.

Eppure io la mia favola ancora sono qui che l'aspetto... e la cosa più buffa è che ci credo davvero.

Saturday, January 01, 2005

QUANDO È IL MOMENTO

Quando la luce scompare lentamente e sopravvive solo una sottile striscia bianca all'orizzonte che diventa sempre più piccola. Quando si vedono solo i contorni di sagome nere e riesci ugualmente a capire e riconoscere ciò che vedi. Quando una luce tenue sopra il fornello illumina il fumo che esce da un pentolino senza il manico. Quando sul tavolo sono sparse tutte le tue cose e sullo schienale della sedia è appesa la tua borsa. Quando alzi gli occhi e la sottile striscia bianca all'orizzonte non c'è più. Quando un pianoforte suona tutta la tua malinconia e sembra parlare di te. Quando ricordi due corpi nudi immersi nell'acqua calda di lacrime. Quando ricordi il grigio di una cucina disordinata dopo ore di risate. Quando ti rendi conto che, neppure questa volta, stai raccontando nulla. Quando senti un buco nello stomaco e freddo sulle spalle, nonostante il maglione grosso. Quando cerchi disperatamente di fissare un momento ma tutto continua troppo veloce. Quando hai paura che tutti questi “quando” siano troppi. Quando poi non ti importa, perché è una cosa che senti e “quando” è quello che ci vuole. Quando la tecnologia ti ricorda che l'ultima cosa che avresti voluto dire non l'hai detta. Quando pensi che alla fine non dirai mai quella cosa. Quando giri il cucchiaino nella tazza del Tè e tintinna come un campanello. Quando fai un sorso piccolo e senti ancora più freddo sulle spalle, nonostante il maglione grosso. Quando alzi gli occhi ancora e ormai l'unica luce è quella calda della lampada sul tavolo. Quando ti guardi intorno e cerchi tutto ciò che ti è familiare per non sentirti persa, per non sentirti lontano da casa. Quando pensi ad una lunga notte con compagni di viaggio tutti ancora in partenza. Quando pensi che anche tu dovresti essere in partenza e invece rimani. Quando nella penombra guardi foto che hanno ormai vent'anni e pensi che non avresti mai pensato di dire 'sono già passati vent'anni'. Quando ci sono occhi che ti guardano da dentro i tuoi ricordi. Quando ti rendi conto che tu coi tuoi occhi non ti riconosci più. Quando ormai è troppo tardi e le lacrime annebbiano la vista delle lettere sulla tastiera. Quando il ritmo della melodia è in crescendo come l'emozione forte che senti.

È un momento. È il tardo pomeriggio del primo giorno dell'anno. È che non è niente. È che è bello essere vivi. È che è solo un momento. È che sei tu.