Wednesday, December 29, 2004

IL TEMPO E IL RITMO

Quando abbiamo una data precisa, una scadenza da rispettare, un punto di partenza, non possiamo fare a meno di contare i giorni che passano o che mancano. In queste circostanze abbiamo l'esatta percezione e misura dei momenti trascorsi che ci separano da ciò che è stato o da ciò che sarà. Eppure a volte capita che, nonostante questa precisione nella conta dei momenti, il tempo trascorra più lento e, proprio per questo, molti avvenimenti si susseguano dando l'impressione che sia trascorso più tempo di quanto non sia in realtà. Forse perché, se non si tratta di reazioni chimiche stabilite o di tabelle di marcia infrangibili, le cose non hanno un tempo preciso: siamo noi a dare il tempo a ciò che ci accade. Così a volte capita che ciò che, normalmente, richiederebbe molto tempo per realizzarsi si consuma invece in un attimo, mentre qualcos'altro di facile comprensione e digestione non accenna a trasformarsi in un dato di fatto nemmeno dopo un mese. Oppure capita che si voglia cancellare qualcosa e si riesca a farlo in un batter d'occhi, mentre ad altre cose concediamo vita ben più lunga. In ogni caso, siamo noi a dare il tempo, il ritmo.

Non succede spesso che si sia consapevoli fino in fondo di quel che accade ed è probabilmente per questa ragione che siamo spesso disorientati. Non capiamo quel che accade, non riusciamo a valutarlo correttamente e, di conseguenza, non sappiamo che ritmo assegnargli. In tutto questo noi siamo persi e finiamo col farci trasportare: è quando non capiamo che rimaniamo in balia degli eventi. Io non posso fare a meno di sentirmi a disagio quando mi trovo in uno stato simile. La cosa più frequente che può verificarsi è che qualcuno che crede di aver correttamente inteso gli eventi che io invece non riesco a comprendere ne prenda possesso e voglia dar loro un tempo e un ritmo che non mi si addicono, una vita troppo lunga mentre io la vorrei più breve, o viceversa. Se sapessi impormi sarebbe più facile, ma il guaio non è tanto il fatto di dover dare un tempo alle cose, quanto piuttosto di dover decidere i ritmi di qualcosa insieme ad altri. Quando un evento non coinvolge soltanto noi, ma riguarda anche altre persone, bisogna trovare un tempo ed un ritmo che siano congeniali a tutti coloro che sono interessati. I tentativi di arrivare all'armonia si traducono più spesso in un caos nel quale tutti seguono ritmi propri, come se dovessero ballare ascoltando in cuffia ciascuno una musica diversa. Così un valzer si scontra con una break dance e con la foga di un rock and roll acrobatico...

Il bollettino finale conta gambe e braccia rotte, qualche abrasione in testa che richiede qualche punto di sutura, ma nessun morto. Ancora non mi è riuscito di mettere d'accordo tutti a seguire lo stesso ritmo. Ancora le cose non hanno un loro tempo da me deciso. Forse la prima che ha bisogno di tempo sono proprio io... e, forse, sono proprio io l'unica persona a cui non l'ho mai concesso.

Saturday, December 18, 2004

AD INTERMITTENZA

Ancora una volta la stessa vestizione natalizia: alberi addobbati, vetrine scintillanti, lunghe vie nelle quali risuonano musiche leggere e delicate, sorrisi stampati in faccia, cupidigia e brama di avere l'ultima edizione di tutto quello che esiste, basta che sia l'ultima. Ancora una volta la forza del Natale vince sulla recessione economica: “Dovessi morir di fame, a nessuno sarà negato il proprio regalo”. Ancora una volta la forza del Natale vince sulle brutture del mondo: tra le strade polverose e martoriate di tanti Paesi non troppo lontani, sul rosso del sangue per strada si impone il rosso del cappello da Babbo-mitra-Natale di tanti soldati. Questi soldati, certamente, preferirebbero essere in giro per le strade a cercare l'ultima edizione di tutto, ma non ci si può certo esimere dal difendere il mondo dai malvagi, né dall'avere uno stipendio per sfamare la propria famiglia ogni mese... Magari sognano che un giorno, al posto dei tanti robot che fanno il loro sporco lavoro in un mondo di fantasia, a Natale saranno venduti i pupazzi del “reggimento tal dei tali, esercito dello Stato x, c.a.p. non si sa, Terra” (sì, perché presto dovremo davvero combattere i terroristi marziani), feticci di plastica di persone reali che il loro sporco lavoro magari lo facessero in un mondo di fantasia.


Credo di non aver mai riflettuto sul significato del Natale per un non credente riuscendo ad andare oltre parole come: consumo, ferie (scroccate, “se non ci credi”), mangiare. Non so bene cosa significhi per me Natale. So cosa mi scoccia tremendamente del periodo di Natale. In cima alla lista i film da veri intenditori trasmessi nel primo pomeriggio, o peggio, in prima serata, che servono ad instillare in giovani menti i valori natalizi... Le favole non si raccontano più... ma perché affaticarsi quando basta premere un bottone all'ora giusta? I nostri figli sanno perfettamente che Babbo Natale sotto mentite spoglie fa lo spazzino nell'atrio di un lussuoso palazzo sulla V° strada di New York dove i ricchi petrolieri di tutto l'edificio attendono di ricevere la sua eredità per diventare i Babbi Natale del futuro... I nostri figli lo sanno.


In tutto questo, e in molto di più, a me rimane poco tempo per pensare. Devo dare una mano al travolgente meccanismo dei consumi, se voglio rendermi economicamente indipendente. Trovo un briciolo di solidarietà e simpatia solo per una cosa di questo e degli altri Natali passati: le luci del mio albero in giardino. Non sono certo un gran che: sono scolorite, piccole, sistemate a fatica su quello che era uno dei primi alberi della mia vita, quando ancora li compravamo vivi e poi li piantavamo in giardino. Non sono neppure particolarmente brillanti, non hanno effetti speciali, non sono appariscenti. Però sono lì, in mezzo a tante altre, a testimoniare la voglia di far festa, di avere un po' di sincera gioia nel cuore, fuori da ogni cinismo e disillusione. E in più si accendono ad intermittenza, e non ho ancora capito se è voluto o se è perché non funzionano tanto bene. Mi ricordano me, che ormai mi accendo e spengo in continuazione e non si capisce se è voluto o se qualcosa non va. C'è un elettricista?


Tuesday, December 14, 2004

IL CERVELLO TRISTE

E' possibile avere un nodo al cervello come quelli che vengono in gola? E' possibile che, una volta tanto, i pensieri stiano in silenzio? E' possibile avere il cervello triste, una volta tanto? Non il cuore...Il cervello triste. Un cervello triste, poveretto, stanco, poveretto, che langue, poveretto, che si gira e rigira inquieto nella scatola cranica, poveretto...Mentre il cuore batte che è una bellezza.

Il cervello triste vede immagini che non esistono, sente musiche e rumori che non risuonano, annusa odori che non aleggiano, assapora gusti che non sono mai stati appoggiati sulla lingua, raccoglie carezze che non sono mai state date. Il cervello triste proietta una realtà tutta sua che si sovrappone a brevi flash di realtà. Il cervello triste prende questi flash e li incanala nel suo mondo. Il cervello triste prende alcuni ricordi e li deforma, ne prende altri e li imprime a ferro e fuoco nella memoria ingigantendo sapori, odori,gusti, carezze e visioni. Il cervello triste prende le persone e le mette tutte su una scacchiera. Ma quali sono le squadre? Giochiamo tutti contro tutti, sembra. Io sono una regina che non sa se deve attaccare gli altri o difendere il proprio re.

Il cervello forse è triste perché è stanco...Il cervello triste e stanco...Ma più triste, che stanco. Che cosa si può fare per un cervello triste? Che cosa si può fare per arrivare al bordo della scacchiera e saltare giù? Che cosa si deve fare per uscire da questo paese-non-proprio-delle-meraviglie e riuscire a vedere da fuori la scacchiera? Forse il cervello triste va spento e basta...Ma il cervello, lo sanno tutti, non si spegne. Un cervello triste è destinato a rimanere triste finché domani non sarà un cervello impegnato, attivo, tranquillo e magari anche un po' allegro.

Il cervello triste pensa anche dieci volte di più di un cervello allegro. Il cervello triste produce dieci volte più idee di un cervello allegro. Non sempre si tratta di idee brillanti...Anzi, il più delle volte sono più tristi del cervello stesso...Non sono idee luminose come le lampadine nuove...Il cervello triste pensa come la luce soffusa di una lampada ad olio o di un'abatajour: intuisci i contorni, afferri i tratti fondamentali e il resto è di libera interpretazione. Il cervello triste ama il suo mondo...Se il cervello è triste dalla scacchiera non si esce e non ci sono russi super intelligenti a dire come devi muoverti. Ci sei solo tu, col tuo cervello triste.


Saturday, December 11, 2004

LE SCARPE CON LA PUNTA TONDA

Succede che ad un certo punto ti scopri cresciuto. Succede che ad un certo punto ti senti responsabile e non guidi se ha bevuto più del dovuto. Succede ad un certo punto che Ella Fitzgerald è musica per le tue orecchie e i tuoi vecchi cd brutalmente violenti e controcorrente servono solo a ricordarti com'eri. Succede che ti scopri decisamente severo, con te stesso e con gli altri, per non parlare del mondo e delle società (perché smetti di pensare che ne esista una sola) che ti circondano.

Però succede anche che ti accorgi che va bene così, che sei contento di essere come sei e che non ti ci ritroveresti più ad avere diciassette anni adesso. I “tuoi” diciassette sono stati molto meglio di quelli che potresti avere adesso. C'era una gran bella musica, quando avevi diciassette anni. C'era tutta Seattle che suonava nei bar fumosi, c'erano modi di vestire e portare i capelli che adesso sono irrimediabilmente connotati con “qualcosa che non esiste più”. Qualcuno diceva già allora che il grunge era morto. La realtà è che i tuoi diciassette anni di grunge e tormento interiore totalmente ingiustificato, ma pur sempre necessario, sono passati e ora sei comunque la stessa persona ma sei consapevole di te stesso, dei tuoi limiti e delle tue potenzialità.

Non so come sia che si pensa sempre di essere destinati a qualcosa di più e mai a qualcosa di meno. Non so da dove nasca l'ambizione di sentirsi cresciuti e in grado di affrontare le sfide: una casa tutta per te, qualcuno vicino, magari anche una pianta destinata a sopravvivere, non condannata a morire come le primule che compravi ogni inizio primavera e non duravano più di una settimana. Certo, il pollice verde, comunque, non viene con gli anni: se uno non è portato, non è portato e basta. Ma il punto del discorso è un altro: ad un certo punto arriva una strana consapevolezza e ti sembra davvero di essere come quella benedetta farfalla che esce dal bozzolo. Capita anche a te e non solo nei libri di scienze o nelle poesie. Vivi una metafora, almeno per una volta.

Però c'è una cosa che noti una sera in un bar fumoso dove qualcuno cerca di suonare scatenando nei propri coetanei le stesse sensazioni che i vecchi gruppi scatenavano in te: nessuna ragazza di diciassette anni porta scarpe dalla punta tonda. Tutte indossano scarpe con punte che farebbero invidia al più sfarzoso gatto con gli stivali. Al massimo qualcuna indossa i vecchi “doc”, ma sai che tu alla loro età non avresti mai potuto permetterteli, neppure quando andavi in viaggio studio in Inghilterra e tutte li compravano, eccetto te, beninteso. Invece tu, nei tuoi anni a metà tra i venti e i trenta porti orgogliosa scarpe dalla punta tonda, paffute, quasi goffe, ma a te piacciono. Le hai cercate e le sfoggi con l'orgoglio di essere riuscita a trovare scarpe diverse che il gatto con gli stivali non avrebbe mai preso in considerazione.

Non si smette mai di essere quel diciassettenne un po' fuori dal gruppo che sei stato quasi dieci anni fa. Però sei contento di non avere più diciassette anni, altrimenti non riusciresti ad essere tondo in un mondo appuntito con la stessa serenità con cui lo fai adesso.

HAR(D)MONY

Credo di aver letto di sfuggita questo strano gioco di parole su un manifesto di uno spettacolo pornografico appiccicato sul muro dello stadio, mentre tornavo a casa in macchina. La ragazza sul manifesto, bionda, formosa, nuda e provocante, quasi squallida, mi ha fissato dal muro per un istante e la scritta rosa si è impressa nel mio cervello. Mi è sembrato un gioco di parole intelligenti, al di là del fatto che fosse per uno spettacolo pornografico. Sesso e armonia... Connubio meraviglioso. Ma è il sesso che porta armonia o è l'armonia tra due persone che porta al sesso? Forse è un'equazione che si può leggere in entrambi i sensi, a seconda di come uno si sente, a seconda della sua storia... Mai generalizzare, sempre dare due possibilità,
sempre poter scegliere... Scegli prima sesso e poi armonia, oppure prima armonia e poi sesso. Scegli.

Nessuno dice che si deve scegliere subito. Io, ad esempio, non saprei che senso di lettura preferisco, in questo preciso istante. Non saprei in che senso sto leggendo, in questo preciso istante. Non so se sto da una parte o dall'altra. Non so se ho mai preferito un senso. Forse passo da un senso all'altro e alla fine mi gira la testa... Qual è il senso?

Si è aperta una piccola cicatrice sulla mia mano. L'ho aperta grattandomi senza volere. Una cicatrice si vede, ma mentre guarisce quasi ti dimentichi che esiste: sta guarendo e scomparirà presto. Prude, di tanto in tanto, e ti ricordi che c'è. Ripensi a come te la sei fatta. Ti gratti per mettere fine a quel supplizio urticante. Poi sanguini. Brucia. Succhi quel po' di sangue rosso brillante avidamente, tamponi con le labbra, dai qualche bacetto alla ferita... In quel momento la cicatrice non c'è più: è tornata ferita. I tuoi baci non servono, non si acquieta. La ferita è riaperta: poco, ma riaperta. Ci vorrà qualche giorno, bisognerà stare attenti. Chissà se bisogna mettere un cerotto o lasciarla asciugare all'aria. Chissà se bisogna intervenire, sulle cose, o se basta che la natura faccia il suo corso.

Certo, siamo fortunati. Probabilmente non ci sarà nessuna infezione. Noi abbiamo un sacco di medicine, di medicamenti vari, di rimedi. Noi sappiamo come curare. Prima o poi impariamo che non dobbiamo grattarci e giuriamo che non lo faremo più. Intanto la nostra ex cicatrice è tornata una piccola ferita. Servirà solo
qualche giorno e poi sarà tutto di nuovo al suo posto. Intanto non ci dobbiamo grattare... Meglio soffocare tutto con un cerotto: forse ci vorrà un po' di più ma almeno non riusciremo a grattarci.

ITINERARI

Ci sono delle volte in cui vorresti poter dare consigli esattamente come quando indichi una strada a qualcuno: vai di qua, gira di là, segui quel cartello... Per quanto banale possa sembrare il paragone, la vita certe volte è davvero un labirinto e non c'èmodo di poter indicare una strada precisa per dove si vuole arrivare.

Capita che un amico abbia bisogno di indicazioni. Capita ancora più spesso che queste indicazioni servano a noi stessi. Com'è che nessuno sa mai indicare la strada quando è davvero urgente arrivare da qualche parte?

Certamente qualche indicazione di massima si può rimediare, della serie “Si...ecco...potrebbe girare di là... Ma in realtà cipotrebbe anche arrivare svoltando di qua e proseguendo fin laggiù...”. Da qualche parte arrivi sempre. E' che a volte chi dovrebbe indicare una strada è il primo a non conoscerla. Ma come ti dispiace di non poter aiutare un estraneo che abbassa speranzoso il finestrino dell'auto e tira il collo per rendersi il più visibile a te che "passeggi dal lato passeggero", che sorride imbarazzato e che vuol sembrare disinvolto proprio quando è più difficile (sapersi perdere con disinvoltura deve essere una gran virtù), ti dispiace non saper aiutare un amico o te stesso.

Eppure dovremmo conoscerci tutti, dovremmo sapere cosa va bene e cosa no... Specialmente per quanto riguarda noi stessi. Come si fa a non conoscersi bene dopo anni che viviamo con noi stessi? Non sarà che si finge di non conoscersi per non accorgersi di essere annoiati di noi stessi? Ma se ci comportiamo in questo modo, poi cosa succede quando dobbiamo dare indicazioni?

A volte c'è qualcuno abbastanza lucido in grado di suggerire un itinerario plausibile per arrivare a destinazione. Diretto, non troppo lungo, poche tappe, cinicamente distribuite in linea retta senza tante curve e senza tanti giri di parole. Queste persone ti indicano una strada sicura che porta davvero dove vorresti andare: sono “quelli che hanno ragione”. E' stupefacente come, parlando con questa tipologia di persone a proposito di una strada da prendere, tu ti sorprenda a ripetere “Hai ragione...Sì, sì, hai ragione”: ma se conosci la strada, se sai che quel percorso è giusto, perché non ti sei incamminato senza fare tante storie? Si potrebbe supporre un breve momento di smarrimento e “quelli che hanno ragione” ti riportano alla memoria qualcosa che avevi momentaneamente (o volutamente?) dimenticato.

A questo punto, uno dovrebbe incamminarsi. E invece non lo fa. Forse perché piacciono le strade con le curve, forse le strade diritte e dirette ti permettono di acquistare gran velocità e fiducia in te stesso, ti senti un gran pilota... Ma quando serve poi non riesci mai a frenare. Quello che manca, nel percorrere una strada diritta, è la cautela che si ha quando ci si arrampica su una strada tortuosa, sempre attenti all'ostacolo dietro la curva, suonando il clacson per dire “attenzione che arrivo”.

Così, quando incontri “quelli che hanno ragione” non dai loro più ragione di quanta già non abbiano perché non segui mai i loro itinerari. Dal canto loro, “quelli che hanno ragione” non sapranno che farsene dei loro itinerari perché nessuno li prende mai in considerazione e continueranno a percorrere strade seguendo indicazioni di massima che verranno date loro da altri che “hanno smesso di avere ragione”.

Alla fine procediamo tutti alla rinfusa, piuttosto lentamente, guardandoci intorno un po' persi, abbassando i finestrini e tirando il collo mentre nascondiamo il nervosismo. Abbiamo tutti un posto dove vogliamo arrivare... Speriamo di incontrare qualcuno che ci accompagni, così almeno mentre si cerca di arrivare da qualche parte piamo piano ci si fa una gran bella chiacchierata.

POTREBBE ANCHE DARSI CHE...

Non so con precisione perché ad un certo punto uno si senta di dover scrivere. potrebbe anche darsi che non ci sia un bisogno specifico, potrebbe anche darsi che voglia fare un esperimento, magari
con se stesso... Ho comprato un meraviglioso quaderno al museo Van Gogh di Amsterdam e mi son detta che avrebbe dovuto essere il mio fedele compagno per gli ultimi mesi all'università... ci ho scritto due volte. forse tre. forse non sono fatta per tenere in fila i pensieri, su pagine o spazi elettronici. Potrebbe anche darsi che io sia piuttosto stanca dei pensieri che mi girnao in testa, dei sensi di colpa inutili, delle responsabilià che BISOGNA ricordare sempre...Potrebbe anche darsi
che, molto semplicemente, io non sia una persona costante, anche se mi sforzo di mostrare l'esatto contrario. Lunedì mi sono laureata. Questa cosa mi ha talmente scombussolata cheal posto del titolo del blog ho messo il mio titolo di studio. Essere laureati non significa necessariamente essere svegli, io ne sono la prova vivente. Però se devo cercare di tenermi aggiornata su me stessa ora che non sono né carne né pesce, allora la qualifica "laureata" è l'unica che adesso mi venga in mente. Il resto lo devo ancora realizzare. Uno forse cerca di star bene con se stesso... Forse è per questo che si scrivono queste pagine di diario elettronico... Per parlare prima di tutti con se stessi.