Wednesday, April 27, 2005

IO E LUI

Ecco, è caduto a terra. L'ho spinto? L'ho perso di vista? Cos'è accaduto? Fino a pochi minuti fa era tutto normale: siamo stati insieme tutta la mattina ed è andato tutto bene... e adesso? Sono stata davvero io? Un'intensa vampata di calore mi avvolge. Gli occhi si chiudono automaticamente. Sono sicura che cadendo da lassù si sarà frantumato. Sono sicura che non darà nessun segno di vita. Il tonfo sordo che fa cadendo continua a riecheggiare nelle orecchie. Lo odio, lo odio, ma ho così bisogno di lui... Come posso vivere senza di lui? Mi è costato tanto averlo con me... E non sono l'unica coinvolta in questa perdita. Come dirlo alla mia famiglia? Anche per loro ormai era uno di casa... Mio padre si infurierà con me un'altra volta.

Sì, è vero, abbiamo già avuto problemi in passato. Non una volta. Appena incontrati era tutto meraviglioso. Ho deciso di metterlo alla prova, caricandolo di responsabilità ed informazioni per me preziose. Sembrava funzionare a meraviglia. Direi che passavo più tempo con lui che con chiunque altro. Mi ero imposta di conoscerlo nei minimi dettagli: ogni sua esigenza non m'avrebbe mai colta impreparata. Avrei cercato di rispondere ad ogni suo minimo cenno. Sarei scattata ad ogni suo segnale. L'avrei curato, accarezzato, mi sarei presa cura di lui, l'avrei portato con me ma badando sempre che non prendesse né freddo né caldo. Ma come ho potuto essere così sciocca da lasciarlo andare? Stupida, stupida idiota che non sono altro.

All'improvviso un giorno non mi ha più rivolto la parola. Non ha più voluto interagire. Si è portato via i miei pensieri, le mie confidenze, i miei sforzi di mesi interi, i miei ricordi. Se n'è andato e basta. Senza preavviso, senza nessun cenno. Io stavo malissimo, quel giorno. Ero addirittura finita all'ospedale e lui era con me. Sono tornata al lavoro e non s'è più fatto vivo. Maledetto. L'ho odiato perché sapevo che non potevo far niente. Ho chiamato tutti quelli che lo conoscono bene e nessuno sapeva cosa dirmi. Li ho colti di sorpresa: come poteva smettere di andare tutto bene dopo così poco tempo che stavamo insieme? Maledetto, l'ho davvero odiato. Poi mi hanno detto che sarebbe tornato, ma ci sarebbe voluto tempo e avrei dovuto pagarla cara. Io, io che non avevo colpa avrei dovuto pagarla cara... IO! Non mi sembrava possibile. Mi sentivo una stupida. A nessun altro poteva succedere. O forse poteva succedere a tutti ma, guarda caso, succede più spesso alle donne... e si sa che le donne con certe cose non devono avere a che fare. Non ci sanno fare, le donne.

Poi torna, quando fa più comodo a lui e ai suoi amici. Sì, lo ammetto, l'ho pagata cara. Molto cara. Ma la cosa più importante è che lui fosse con me. Era tornato con tutti i miei ricordi, le mie confidenze. Mi aveva riportato le vecchie lettere e le foto dell'anno scorso. Lo stringevo forte, non mi sembrava vero. I miei sorrisero, anche se sapevano il prezzo che avevo dovuto pagare. Poi iniziò un mese circa di vita intensa ancora insieme.

Fino a stamane. Fino a quando non mi sono distratta un attimo è m'è caduto lo zaino dalla spalla. BUM! Secco. Orribile. Sento un rumore di salvadanaio che si rompe. Temo che anche i miei ricordi se ne vadano definitivamente. Sono affranta: non era passato neanche un mese... Lo odio ma sento di averlo perso ancora e mi sembra di morire. Mi sfugge dalle mani e cade. Stavolta la colpa è mia. Solo mia. Lo raccolgo. Sembra integro, ma so che è guardando dentro che arriveranno le brutte sorprese. Lo sportello è aperto come una ferita. Non si rimargina. È ferito. Mioddio, è ferito. E anche questa volta non so che fare. S'accende, però. Compare il menù di selezione. Sono agitata, mi viene da vomitare. Funziona. Ma è ferito. Sembra che possa andare lo stesso ma sono costernata. Il mio computer mi ucciderà, uno di questi giorni. Se non sarà per uno di questi spaventi sarà perché per aggiustarlo mi saranno serviti tutti i soldi che possiedo e sarò una barbona. Computerizzata, sì, ma sempre una barbona.

Così adesso siamo qui, io e lui. Io che aspetto che lui mi dica che mi sono illusa e che ad una botta così non si rimane integri. Mi aspetto di vedere fuoco e fiamme che escono dallo sportello del lettore cd. Mi aspetto che si spenga da un momento all'altro. Lo odio, ma senza di lui non so stare. Nuove forme di dipendenza, le chiamano. I battiti del mio cuore vanno con la sua RAM. Dio come lo odio!

I GIORNI UN PO' COSI'

Non ci riesco. Proprio non ci riesco. Oggi la mia testa non riesce a rimanere ferma: vola da un'immagine all'altra, da un'idea all'altra, da un pensiero ad un altro e non porta con sé nulla. Salta di qua e di là come una rana senza produrre niente. Sono inquieta e non riesco a rassegnarmi alle casualità. Ci sono delle cose che semplicemente accadono e continuare a pensarci non serve a niente, tanto sono già successe. Mi accorgo però che non sto saltando da un'oasi ad un'altra. Non salto su montagne di pietre preziose né su ricordi felici. Sto saltando da un fosso ad un altro. Da un brutto ricordo al fastidio che mi ha provocato uno stupido fatto accaduto ieri. Da un vecchio nervosismo a uno nuovo. Mi sono completamente infangata di ricordi un po' così.

E' strano come la vita, a volte, possa essere così... Così. Riflettevo sul fatto che abbiamo una vita sola e che le cose che ti restano in mente sono sempre le più stupide. Non ricordo quando sono nata. Forse basterebbe fare uno di quei folli corsi di rebirthing e scoprirei che non ho dimenticato niente, in realtà. Non ricordo com'ero vestita il primo giorno di scuola. Basterebbe cercare una fotografia, forse. Ma, chissà perché, non riesco a farmi venir voglia di cercarla. Rimangono fortissimi i brutti ricordi. Rimangono i rimpianti e i rimorsi. Rimangono gli incidenti. Di queste cose ricordi sempre tutto. Qualcuno deve aver detto che i traumi si imprimono con maggior forza nella mente. Ma se la nostra mente fosse come lo studio di un fotografo? Se potessimo aprire una bottiglia di acido e cancellare il negativo dei brutti ricordi? Se poi potessimo anche eliminare ogni traccia di questo gesto, gettando l'acido nello scarico... e poi sviluppare, fissare, ingrandire, dettagliare solo i ricordi belli? Scattiamo milioni di fotografie ogni giorno e non siamo mai noi a scegliere quelle che finiscono nel nostro album dei ricordi.

Perché non riusciamo a rassegnarci alle casualità e a continuare? Chi ha detto che le cose che sembrano contare di più sono quelle che contano davvero? Ci preoccupano i soldi che non abbiamo. Ci preoccupa il fatto che non riusciamo ad averli. Ci preoccupano le cose che possediamo, perché se si spaccano dobbiamo ricorrere a soldi che non abbiamo. Ci preoccupiamo di avere sempre più cose, però. O siamo pazzi o stiamo sbagliando. Ma come mai non riusciamo ad allargare le braccia e a dire “Pazienza”? Perché non facciamo un respiro profondo e non proviamo a ricominciare? Lasciamo che il nervosismo, la noia, il disagio se ne vadano da soli, come quando digeriamo male e aspettiamo che il mal di pancia vada via. Sì, ma quanto pesante abbiamo mangiato, questa volta? Passerà, diciamo, e intanto soffriamo. Un po' alla volta il dolore se ne va, ma soffriamo. Poi piano piano il nervosismo si calma. Lì e solo allora ricominciamo a respirare, naturalmente. Forse anche i giorni un po' così vanno elaborati, trascorsi, fatti passare. Forse più che bravi fotografi che scelgono quale dettaglio fermare dovremmo essere bravi selezionatori. Dovremmo saper decidere meglio cosa farà o meno parte del nostro album di fotografie. Quello che ci manca è la capacità di buttare via definitivamente quello che non ci piace. Ci hanno dato un cervello troppo complicato e fine per scartare e dimenticare. Ciò che ci distingue dagli altri animali è ciò che ci costringe a giorni un po' così. Forse, questo è proprio il bello di noi. Ma oggi che è un giorno un po' così non riesco proprio a farmelo piacere, questo bello di noi.

Saturday, April 23, 2005

GLI INVENTORI, GLI ESPERTI, I VERI GENI... E NOI

Tutto ciò che è importante sapere nella vita l'ha scoperto o inventato qualcuno. Geni, scienziati, talenti delle arti e della tuttologia, esperti di qualsiasi genere e razza. Ogni indagine, ogni sondaggio, ogni frase oggi sa di già detto o ricorda quello che qualcuno ha già analizzato, scritto, tabulato, dimostrato. Esperti in ogni trasmissione ci dicono cosa dobbiamo dedurre da quello che accade nella politica e nella società rifacendosi ad altri esperti. Leggi un libro a caso e ti accorgi che qualcuno ha già detto quello che pensi, ma con parole migliori. Anche ciò che sembra effimero è già stato definito: Coco Chanel ha inventato il vero stile, Mary Quant la vera minigonna, i Beatles il vero pop. Anche nel porno non esiste niente di simile alle prestazioni di Holmes. Poi sono arrivate le imitazioni da acquistarsi solo dopo aver oltrepassato la soglia della maggiore età. E' vero, rimangono i grandi misteri della natura, ma ci stanno lavorando gli scienziati. Nulla deve restare intentato, tutto deve essere chiaro, definito, riproducibile, sperimentabile, mappabile, indicizzabile, comprensibile, auscultabile, starnutibile, tossibile... Dica trentatré. Di sconosciuto, buchi neri a parte, resta poco. E anche i buchi neri sono una specie in via di estinzione.

Chi sono quelli che hanno scoperto tutto? Quand'è che si diventa esperti di qualcosa? Quand'è che si è un vero genio? Se un giorno ti svegli, ti cade una mela in testa e prima di dire “*&%$£§” ti viene in mente che può esistere una legge di gravità che ti ha ridotto con un bernoccolo mastodontico sulla fronte, allora sei un genio. Se un giorno, entrando in vasca da bagno sicuro di te nonostante l'acqua bollente, non ti metti a gridare ma noti che il livello dell'acqua sale quando ti immergi e si abbassa quando esci, allora sei un genio. Se sei stanco di sbattere contro tutti gli spigoli della caverna in cui vivi e fai di necessità virtù scoprendo il fuoco, allora hai addirittura dato una spinta definitiva all'evoluzione umana (oltre ad aver contribuito a far rientrare la fronte e l'arcata sopraccigliare). Ma noi, oggi, possiamo essere esperti o veri geni? Cos'è rimasto da inventare, oggi?
Hanno inventato il telefono per videochiamare, la caffettiera che si spegne da sola, le scarpe che si scaldano da sole, il computer portatile, il pagamento a rate, lo sbucciapatate razzo che pela un quintale di tuberi in cinque minuti... ma chi ha bisogno di un quintale di tuberi in cinque minuti? Esistono i veri inventori di una volta? In cosa possiamo definirci esperti, noi?

Noi siamo quelli che passano ore ed ore in fila. Murphy diceva che l'atra fila va sempre più veloce di quella in cui sei tu. Noi siamo esperti nel diventare delle iene quando constatiamo che Murphy aveva ragione. Noi siamo gli esperti del correre sotto la pioggia tentando di schivare le gocce e mentre lo facciamo cadiamo nelle pozzanghere. Noi siamo gli esperti della perdita di tempo. Abbiamo inventato fior fior di modi con i quali ingannare il fisco, il direttore del nostro ufficio, la maestra e anche il panettiere. Noi siamo gli esperti nel farci beccare. Noi siamo gli esperti del lavoro che non piace ma che serve per portare a casa la pagnotta. Siamo gli inventori del tirare a campare fino alla fine del mese. Siamo veri maestri nel metterci nei guai. Siamo veri maestri anche nel dimenticare di esserci messi nei guai e nel ricaderci. Siamo esperti nel prendere abbagli. Siamo i geni del telecomando. Siamo gli esperti che rispondono a casa alle domande dei quiz e si incazzano quando il concorrente sceglie l'altra opzione. Siamo piccoli geni incompresi e i nostri buchi nei calzini non fanno la storia come quelli di Einstein.

Però siamo anche quelli che, in questo mondo dove tutto è già stato detto e ridetto, tabulato, auscultato, tossito e riferito, vivono vite originali, ognuno la sua. Siamo quelli che ridono per una stronzata detta da un amico. Siamo quelli che pensano come mai non è rimasto niente da inventare e che sanno come usare, sprecare e dimenticare quello che è stato inventato. Ogni epoca ha avuto le sue grandi scoperte e le sue grandi menti. Quest'epoca ha noi. E di uguali non ne verranno.

Thursday, April 07, 2005

IL DISGELO

Quando arrivava la primavera e tutti noi frequentavamo ancora la scuola elementare, le maestre ci chiedevano sempre di scrivere un tema su questo nuovo fiorire della natura, come se insieme a lei anche i nostri pensieri dovessero rianimarsi e rinascere spontaneamente dopo una specie di letargo invernale del cervello. Non era tanto l'arrivo effettivo di una nuova stagione di rigeneramento collettivo che avrebbe dovuto farci nascere nuovi pensieri, che non erano mai originali in realtà, ma si trattava di una scadenza da rispettare. 21 marzo, arriva la primavera: largo alle riflessioni e alla creatività.

A distanza di tanti anni ancora non riesco ad esimermi dal rispettare questa scadenza, nonostante come sempre una vera primavera non sia ancora cominciata. Ma il 21 marzo è passato velocemente e non ho potuto fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nel pensare che, da qui in avanti, tutto sarebbe andato meglio, almeno metereologicamente parlando. Non posso neppure sottrarmi dal sentirmi produttiva, attiva, creativa, riflessiva, anche se in realtà non mi sono mai sentita così fiacca. Dicono, però, che anche questo sia un effetto della primavera. Ma che sia vero? Che cos'è che ogni anno ci fa guardare al mondo, che è sempre uguale a se stesso, quando non arriva ad essere la propria caricatura, con occhi diversi non appena passa il 21 marzo? Quante volte ancora scriveremo anche solo mentalmente quel temino sulla primavera che arriva? Quante primavere vivremo ancora così stupiti del fatto che la vita va avanti, che tutto passa e torna, che sotto la neve che si scioglie c'è sempre la nostra terra, uguale e diversa ogni volta?

Quando nevica all'improvviso, quando non te l'aspetti se non per quel po' di vento secco che tira e che arrossa il naso, ci sentiamo sempre tutti molto eccitati, soprattutto se si ritiene di non essere in un posto dove nevica facilmente. Eppure un giorno comincia a cadere un fiocco, poi due. Uno pensa che “non attaccherà mai”. E invece attacca, eccome. Una coltre bianca copre tutti i luoghi della nostra quotidianità. Copre le buche che abbiamo scavato, le strade che percorriamo ogni santo giorno. Copre i nostri sbagli, le cazzate, le crepe. E' tutto bianco. Sotto tutto quello che volevamo nascondere, sopra tutto da poter rifare, calpestare, orme da lasciare: possiamo dare una nuova impronta alla nostra vita. Siccome non capita spesso, siamo effervescenti e chi se ne frega se siamo infagottati e con la goccia al naso: ricominciamo tutto daccapo.

Ad un certo punto però la neve però smette di scendere, diventa ghiacciata e non è più così facile lasciare nuove impronte che si distinguano da quelle degli altri. Quel senso di intensa eccitazione che provavamo nel guardare la nostra vita coprirsi di novità svanisce lentamente. Comincia a fare davvero freddo e sciarpa e guanti non sono sufficienti. Anche la novità diventa normalità ed è una normalità pericolosa: non sai mai dove mettere i piedi per non scivolare. Vorresti che la neve ricominciasse a cadere. Vorresti fosse sempre fresca e morbida. Invece compare un po' di sole caldo. Passi sotto un cornicione e ti cadono le gocce in testa. La neve si scioglie. Lentamente, ma si scioglie. Il disgelo non si può evitare. Così, le tue strade, le tue buche e le tue crepe riemergono. Sono sempre state lì, solo nascoste. Ma ogni volta, dopo la pausa invernale, le guardi ricomparire con tranquillità, perché è naturale che ricompaiano.

Forse è davvero questo quello che rimane di tanti anni di temini scritti con la biro blu sui quaderni a rigoni: la sicurezza di tornare a ciò che fa la nostra vita proprio la nostra, con le sue buche ma anche con i suoi prati fioriti. Ci vedi chiaro, sai che cosa devi affrontare, vedi la tua strada e decidi di cambiarla o decidi di percorrerla fino in fondo. Magari decidi di tornare indietro. Le buche, le crepe le vedi, le salti, le riempi, le aggiusti. I prati di fiori li coltivi. Oppure decidi che quest'anno si pianta frutta o che vendi quel terreno e te ne compri uno più piccolo, ma che ti piace di più. Quando arriva il disgelo ricominci a vedere chi sei. E puoi decidere senza l'illusione che sia veramente possibile nascondere per sempre la tua vita sotto la neve. Prima o poi la primavera arriva e tu, volente o nolente, sei sempre contento che arrivi.