Pensavo che, dato che da qui a Pechino passano otto ore in avanti, se potessi correre avanti e indietro da lì a qui senza perdere troppo tempo sarebbe sempre adesso e non cambierebbe mai niente. Certo, se potessi non metterei in pratica proprio adesso adesso questo trucchetto. Sceglierei un adesso più felice di sicuro, un adesso meno solitario, meno tranquillo e meno nuvoloso. Correrei da Pechino a casa e avrei sempre le guance rosse e gli occhi brillanti, i capelli lunghi e neri, neanche l'ombra di un'occhiaia. Il tempo fermo mi stamperebbe sulla faccia un gran sorriso. Sceglierei un giorno d'estate. Invece da qui a Pechino ci vogliono quasi 12 ore di aereo, considerato che bisogna cambiare a Francoforte, volare su mezzo mondo e scendere infondo a destra sul planisfero. Manca il requisito fondamentale dell'immediatezza per mettere in pratica il mio trucchetto. Così non posso scegliere nessun giorno, sono i giorni che scelgono me. Non c'è stato il sole, oggi, non ho più i capelli lunghi e neri ma in compenso ho le occhiaie e le guance scavate. Non credo di aver sorriso, oggi.
Senza questo trucchetto mi rendo conto che non si rimane mai fermi nello stesso punto né tanto meno nello stesso momento: siamo zingari di noi stessi, nomadi senza sosta a volte senza un tendone da circo da piantare, mentre tante altre piantiamo un tendone grande, colorato, pieno di buffoni e buffonate, quasi grottesco. Poi nessuno viene a vedere lo spettacolo o magari entra qualcuno che dopo poco tira un pomodoro e un uovo marcio e se ne va. Che fatica cercare le risorse per comprare un tendone ed allestire lo spettacolo e poi accorgersi che nessuno verrà a vederlo o che i pochi che verranno ne rimarranno delusi. Lavoriamo sodo e duro per mettere su un bello spettacolo che invece non piace quasi mai a nessuno. Ma forse sbagliamo a pensare che serva uno spettacolo per attirare l'attenzione. Pensiamo che servano le cose grandi e piene di lustrini, piene di musica assordante e, possibilmente muniti di fanfara al seguito, andiamo in giro ad invitare la gente, estranei, a vedere il nostro sudatissimo lavoro. Da qualche parte ho letto che i gesti plateali non hanno mai salvato i popoli. Non sembra che abbiano salvato neppure me: il tendone del mio spettacolo, messo su a fatica e da sola, è vuoto.
Sui seggiolini dietro il margine della pista rimangono le tracce di quelli che sono passati di lì: pop corn sparsi e bicchieri rovesciati; mozziconi di sigaretta; bottiglie di birra semi vuote o vuote e rotte; tappi. La rete di emergenza ha un buco al centro enorme, per ricordare quando la star dello show, durante un triplo salto mortale-avvitato-carpiato-mescolato-rovesciato a metri e metri di altezza ha mancato di afferrare il trapezio ed è rovinosamente precipitata sfracellandosi al suolo e bucando perfino la rete di sicurezza, tanto era sparata. La segatura sulla pista è cosparsa di gocce rosse un po' rapprese, il suo sangue, di gocce azzurre un po' rapprese, le sue lacrime, e di cacca di cavallo un po' rappresa, il giusto contorno. Il cavallo ha rassegnato le dimissioni insieme all'orso e all'elefante. Hanno messo su una cooperativa di allevamento esseri umani per esibizioni su commissione, tipo per i compleanni o per gli anniversari e mi hanno chiesto se voglio lavorare per loro. Ci sto pensando.
Mi ricordo di una volta in cui sono andata a vedere uno spettacolo di gran classe in un tendone di pietra, dove si fanno solo spettacoli di alto livello e le star non si sfracellano sulla pista perché sono talmente discrete da non tentare neanche un triplo salto mortale avvitato-carpiato-mescolato-rovesciato: recitano una parte e sanno di essere molto brave. Non c'erano né mozziconi né bottiglie sul pavimento, non si poteva neppure mangiare, in quel posto. Non pensavo ci fossero circhi così. Tutto era talmente delicato, in quel posto, che hanno deciso perfino di non chiamarlo circo ma teatro. Al teatro io mi sentivo piccola, protetta. La musica non era affatto assordante ma delicata. Nessun cavallo ha dato disdetta e nessun orso ha fatto sciopero. Mi sentivo sicura anche se stavo in alto in alto perché non c'era nessun trapezio da prendere solo e solamente all'ultimo secondo, pena la delusione del pubblico. Stavo lì a guardare uno spettacolo messo in scena anche per me, che per una volta ho fatto parte di un pubblico, e che non aveva niente a che fare con la vita delle persone. Non era lo spettacolo della mia vita né della vita di nessun altro: era una finzione e basta e per vederla si pagava. Poi, solo dopo il termine dello spettacolo, iniziava la vita vera fuori dal teatro. Quando sono tornata al mio circo, allora, ho pensato che, dato che era vuoto, sarebbe stato meglio chiudere baracca e andare a vedere il teatro più spesso. Ho pensato che sarebbe stato meglio pagare un biglietto per rilassarsi un po' vedendo uno spettacolo e non cercare di fare i soldi allestendo uno spettacolo della propria vita.
Non si vola avanti e indietro da Pechino per rimanere sempre fermi nello stesso momento di felicità, ma a volte basterebbe cambiare punto di vista per rimanere felici più a lungo di quando ci affannavamo per rincorrere un briciolo di gioia. Non è facile cambiare punto di vista, lo sanno tutti, ma si può sempre provare. L'alternativa è volare avanti e indietro da Pechino senza perdere un secondo. Se riuscite, ditemi come si fa.
Wednesday, January 26, 2005
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